Eremo della Madonna della Stella

markers/turismo/castle-2.png Da Visitare

Localita: Castello di Roccatamburo


Da Roccatamburo si accede al santuario della Madonna della Stella, già eremo agostiniano di S. Croce e prima ancora Monasterium di San Benedicti in Faucibus o in Vallibus.

E’ uno degli eremi rupestri più belli della Valnerina, immerso in uno scenario naturale di ineguagliabile bellezza e per la sua collocazione assume un aspetto notevolmente suggestivo.

Secoli di storia e di preghiere in questa gola scolpita dal torrente Santa Croce e dove i monaci benedettini prima e poi gli agostiniani cercarono pace e armonia. La chiesa, scavata in parte nella parete rocciosa, raccoglie i visitatori come in un antro domestico, e il bisogno di silenzio e preghiera si fonde al misticismo ieratico espresso dai santi dipinti sulla parete nel 1416. Un recente restauro ha restituito tutta la loro bellezza, riportando alla luce anche figure che erano scomparse sotto uno spesso strato di fuliggine.

Qui la materia si fece preghiera e le celle dei monaci, scavate come nidi di falco sulla parete rocciosa, ricordano la vanità della vita terrena. Il primo insediamento, a valle dell’attuale, sorse presumibilmente nel secolo VII, come cella monastica benedettina, fu poi trasformata in monastero, che fu chiamato di San Benedetto in Faucibus (gole) o in Vallibus (valli) e posto alle dipendenze dell’abbazia di San Pietro in Valle.

Il primo documento certo in cui si parla del monastero è una bolla pontificia con cui Gregorio IX, nel 1231, conferma all’abate di San Pietro in Valle i privilegi ed i possedimenti fra cui “in territorio Berardi Eclesias S. Benedicti de Valle“. Il 3 agosto 1303, papa Bonifacio VIII a causa della vita non proprio irreprensibile condotta dai monaci di San Pietro in Valle, ne assegnò in via definitiva i beni, compreso il monastero di San Benedetto, al Capitolo Lateranense. Nel 1308 lo stesso Capitolo concesse ai frati Andrea Casotti da Mucciafora e Giovanni da Cascia, eremiti dell’ordine di Sant’Agostino di Cascia, e il permesso di edificare un Eremo, denominato Santa Croce, con il solo obbligo di versare un danaro all’anno in favore della chiesa di San Benedetto in occasione della festa del Santo, pena la decadenza della concessione.

Risalita la stretta valle, i due eremiti diedero inizio all’opera di edificazione dell’eremo attuale che poi prese il nome di Santa Croce in Valle. Alla nuova chiesa, in parte ricavata scavando nella roccia, si aggiunsero con il tempo una decina di celle monastiche, ricavate anch’esse nella parete rocciosa con l’aggiunta di parti murarie, un refettorio, un forno e una chiesetta dedicata a San Bartolomeo. Sorgeva così una sorta di Laura dove la più recente esperienza cenobitica mutuava quella più antica degli eremiti orientali.

Tra i due ordini dovette, evidentemente, nascere qualche attrito, tanto che il 5 dicembre 1336 il Capitolo Lateranense, tramite un suo procuratore, sentì il bisogno di ribadire la concessione precedente con un nuovo atto e di lì a poco, il 15 settembre 1337 l’agostiniano fra’ Bartolo di Cascia, vicario del cardinale diacono di Santa Maria in Aquiro, camerario della basilica lateranense, forse per scoraggiare definitivamente le ingiustificate pretese del rettore di San Benedetto sulle pertinenze dell’eremo e dell’adiacente chiesa di Santa Croce, fece nuovamente determinare i confini dell’insediamento agostiniano, minacciando di scomunica chiunque avesse ulteriormente molestato gli eremiti. Nel 1416 la chiesa di Santa Croce fu abbellita con un ciclo pittorico, segno evidente della accresciuta importanza del luogo. Ma la decadenza per i due insediamenti monastici era alle porte; con il passare degli anni anche gli Agostiniani di Cascia cominciarono a disertare questo luogo di culto, tanto che nel 1459 nominarono un cercatore per Santa Croce, segno evidente di sopperire all’assenza di un presidio stabile sul posto, infatti verso la fine del 1400, nonostante un glorioso passato (vi era stato celebrato un “Capitolo provinciale” dell’Ordine agostiniano), l’Eremo di Santa Croce in Valle era ormai in stato di abbandono. Nel 1465 il cardinale Eroli visita il monastero di San Benedetto e lo trova in pessime condizioni: “visitavit ecclesiam Sancti Benedicti et invenit desolatam: habet contiguum monasterium et ecclesia minatur ruinam“.

Nel 1525, il Comune di Norcia recuperò la chiesa di Santa Croce, restaurandola, così che singoli monaci, sporadicamente, vi si reinsediarono. Nel 1525 Clemente VII unisce il Monastero alla Collegiata di Cascia, l’ultima notizia del monastero di San Benedetto risale al 1545, quando lo si ritrova compreso in un elenco di chiese, poi su di esso cade l’oblio.

Il De Lunel, nella sua visita apostolica del 1571, riferì di aver trovato la chiesa di Santa Croce “derutam“, con i redditi goduti dal vicino castello di Roccatamburo. Occasionalmente l’insediamento eremitico continuò ad essere abitato da qualche monaco, tra cui Alessandro da Bologna (1539), Simone da Leonessa (1560), Michelangelo da Narni(1613), come testimoniato da graffiti nella ex sagrestia, l’ultimo di cui si ha notizia risale al 1630: “Io fra Avenerio venni a stare con Fra Gregorio da Norcia 1630“. L’abbandono definitivo del luogo avviene probabilmente dopo il 1652, quando Innocenzo X soppresse molti piccoli conventi.Carlo Giacinto Lascaris, nella visita apostolica del 1712 trova la chiesa semidistrutta, con il tetto crollato, tanto da sembrare quasi una caverna.

La memoria del luogo fu quasi persa fino al 1833, quando due pastorelli di Roccatamburo, Sabatino Bonelli e Innocenza Leopardi videro sbucare il volto di una Madonna in mezzo ai rovi, si gridò al miracolo, ma era solo uno dei vecchi affreschi che riemergeva dal passato. Riprese allora il culto da parte delle popolazioni dei paesi vicini e con le offerte ricavate dai fedeli fu restaurata la chiesa che da allora prese il nome di Madonna della Stella dalla veste indossata dalla Madonna dipinta sulla parete rocciosa, trapunta di croci a forma di stelle.

Da allora l’eremo fu custodito da eremiti volontari, tra cui ci fu anche Fra Venanzio Solfanelli di Fabriano, che lasciò la sua patria e la sua famiglia per vivere i suoi ultimi nove anni di vita come custode di questo luogo. Egli morì il 5 novembre 1857 e fu sepolto nella chiesa, dove c’è ancora una lapide che lo ricorda, e qualche tempo dopo, nel 1868, un suo nipote, Don Antonio, di passaggio da Cascia, ci si recò per celebrare una messa in suo suffragio.

Lo accompagnava un personaggio già allora famoso in tutta l’Europa, che a seguito di una conversione aveva preso i voti religiosi ed era diventato diacono: Franz Liszt. L’ultimo degli eremiti, ricordato ancora da molti anziani, fu Luigi Crescenzi di Poggio primo caso. Egli servì l’eremo dal 1919 al 1949, anno nel quale morì cadendo dall’alto del piazzale antistante le celle monastiche. Il culto mariano è rimasto vivo in tutta la popolazione della montagna e ogni anno, nel mese di maggio, numerose processioni provenienti dai paesi vicini si inerpicano per il ripido sentiero a rinnovare la devozione tramandata attraverso le generazioni.

A Roccatamburo, alla cui parrocchia la chiesa della Madonna della Stella è soggetta, e che da sempre ne cura la manutenzione e il decoro, spetta l’onore di aprire, la prima domenica di maggio, il ripetersi della tradizione.

A valle dell’eremo si ammira una deliziosa cascatella formata da un ramo del Tissino, si raggiunge poi l’eremo attraverso una breve ma faticosa salita.
L’Eremo di Santa Maria della Stella è l’unico esempio di chiesa rupestre attiva, che, con le sue venti celle, risulta quasi interamente scavata nella roccia viva; sono ancora riconoscibili i resti di una chiesetta scoperchiata, dedicata a San Bartolomeo, con pareti affrescate e un forno dove si cuoceva il pane. L’esterno della chiesa è semplice, un disadorno portoncino con sopra un Agnus dei in pietra è affiancato da due finestrelle, sulla sinistra si trova il piccolo ambiente già adibito a sagrestia, anch’esso prende luce da una finestrella.

 

Scopri tutto